Lost in Rome – Roma fa spettacolo con Angelo Maggi e La Banda dell’Uku

L’omo nun sa indó va,
però cce va dde prescia.

Aggrediti da una città che è anche il mondo, una città rumorosa, Roma minacciosa, grottesca, travolta da scadenze, urla, minacce: parole urlate. Suoni. E lui allora, disperato, solo, se ne va, e parte, pur in mezzo a tanto chiasso, ché la stessa città gli offre altri spazi, altri silenzi, altri rumori. Gli risveglia ricordi. Gli prepara altri incontri, altre occasioni. Altre parole.

In questo viaggio lo accompagnano i grandi del nostro passato, il gigante Giuseppe Gioachino Belli, la pura voce del popolo Giggi Zanazzo, il Trilussa severo delle poesie sulla guerra, l’epico Elia Marcelli, la babele assoluta della parola di Mauro Marè. E la forza linguistica (la “tigna” viene da dire) di Pierpaolo Palladino.

Lui, Angelo, confuso e disciplinato, severo e allegro, lirico e cinico, fragile e tenace, cerca, dialoga, si confonde, si orienta. E alla fine, forse, trova… una città? la sua città? la sua città, appunto, che è “eterna”? Forse. O forse semplicemente ritrova se stesso. Marcello Teodonio

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foto  Matteo Nardone

 

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Tutto parte dal linguaggio, il romanesco che volevo mostrare nella sua espressione colta, e dall’invito di Angelo Maggi a lavorare intorno ai sonetti del Belli e del più contemporaneo Mauro Maré, che già da anni interpreta con la supervisione e la passione del prof. Marcello Teodonio.

Io di questa lingua serciosa ho cercato di valorizzare le sfaccettature più brillanti, per trarne la rosa che si svela dai versi di Belli e Maré, aggiungendo un omaggio a Li Romani in Russia di Elia Marcelli. Il testo che ne è emerso parla di un uomo in crisi alla riscoperta di questi versi, che affrontano temi universali come amore, morte, vita, guerra.

E da quest’incontro poetico ne sono nati altri grazie ad Otto e1/2 di Fellini, alle arie di Romolo Balzani e di Carlo Rustichelli, alla folgorante scoperta di “Ma che razza di città” di Gianni Nebbiosi, contaminando il tutto con assaggi di Tom Waits, Kurt Weill, Nino Rota e Armando Trovaioli, passando per le liriche di Tim Rice, di Lloyd Webber e di Leonard Cohen, dei Deep Purple, dei Queen, degli Animals, di Raffaellà Carrà e dei Pink Floyd.

Un viaggio a volo d’angelo insomma, nella contaminazione musicale di questa nostra Caput Mundi in compagnia della Banda dell’Uku, della giovane Maddalena al violino e di Angelo, come amici che suonano su una zattera del fiume, su un balcone altolocato, ai piedi di una chiesa, o correndo a perdifiato per il pratone del Circo Massimo… Pierpaolo Palladino

 

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