di Chiara Merlo a Pierpaolo Palladino su ITALIA SERA del 15 aprile 2011
“La Matematica Sentimentale” torna al Teatro dell’Orologio (fino al 17 aprile) con l’intento di portare avanti il discorso di Palladino sul racconto teatrale. È questa l’occasione per approfondire con l’autore alcuni temi da lui affrontati (anche in altri spettacoli) e capire qual è il suo punto di vista con riferimento alla scena teatrale attuale.
-Nelle Sue opere messe in scena viene più volte affrontato il tema della “crisi creativa” e quello dei rapporti disastrosi che spesso gli artisti vivono nella loro vita quotidiana “normale” con gli altri, cosa vuol dire fare teatro oggi senza correre il rischio, seguendo la propria fede, di rimanere isolati dal mondo, e non essere capiti?
«Il tema del rapporto difficile con il quotidiano per me è fondamentale perché affronta il problema dell’alienazione dell’individuo che può smarrirsi in sessualità disperate, come i coniugi ne “L’ultimo angelo”, o disalienarsi come il giovane teatrante di “Sputa la gomma! Il teatro va a scuola”. Qui il protagonista, pur accettando controvoglia di condurre un laboratorio teatrale in una scuola media di periferia, incarico che lo isola dal mondo dello spettacolo professionale, trova se stesso e il senso migliore del suo lavoro proprio a contatto con i ragazzi e con la loro adolescenza dirompente, si disaliena e vince le sue frustrazioni nel rapporto con loro, fino a scoprire un istinto paterno».
-Eppure il Suo teatro si occupa di temi attuali come la disabilità, il conflitto generazionale, la convivenza collettiva, il disagio sociale per le proprie scelte individuali, contrastanti con i valori dominanti, perché è così difficile che il teatro abbia oggi quella sua funzione “rappresentativa” dei mali comuni ritornando a essere fondamentale risorsa per il cambiamento culturale?
«La domanda è complessa. Penso che oggi il teatro conservi ancora quella capacità di critica poetica, ossia di riflessione personale più che di denuncia del mondo, che difficilmente i mass media possono permettersi. Per essere aggiornati sulla realtà, internet è senz’altro più efficace e veloce di uno spettacolo di denuncia, ma con il teatro si può esprimere al meglio la propria visione o riflessione poetica. Forse per questo molti professionisti in altri campi, esempio giornalisti o ex magistrati, ricorrono al teatro per approfondire in maniera più intima e libera il loro lavoro. Certo le risorse economiche per esprimersi a teatro sono sempre più proibitive».
-Il problema della casa e della sopravvivenza quotidiana, per esempio, affrontati in “L’Albergo Rosso” con Ninetto Davoli sono quanto mai emblematici del “dramma” che molti oggi vivono in una condizione disperata e quasi di resa rispetto alla giusta pretesa che invece dovremmo avere tutti nei confronti dei diritti…come si può spingere le persone a lottare contro i soprusi attraverso il teatro (che perciò diventa “impegnato”), cioè semplicemente esaltando l’uso della parola e della magia scenica?
«Nell’Albergo Rosso si risalta il problema del diritto alla casa come una lotta che a Roma dura da sempre, forse da quando è diventata capitale d’Italia 140 anni fa. Ma oltre a testimoniare la vicenda poco conosciuta della deportazione di alcuni romani in una struttura abitativa soffocante, cerco di dare un mio punto di vista poetico che va oltre la denuncia vera e propria. E lì che inizia il discorso d’autore che può colpire l’intima coscienza dello spettatore; compito che forse History Channel non si pone».
-Teatro e musica, teatro e matematica, teatro e vita semplice, diversi i modelli cui si ispira perché sia ogni volta più credibile lo sforzo, più fruibile il messaggio, ma cosa la musica, la matematica, la vita semplice degli altri ci aiuta a capire della complessità dell’esistenza?
«La complessità dell’esistenza non si può capire, si può solo testimoniare e affrontare di volta in volta, il professor Primo nella Matematica Sentimentale afferma che “è più difficile la vita di tutti i giorni che un teorema ben congegnato”. Proprio in questo spettacolo, in scena fino a domenica al teatro dell’Orologio, affronto l’ansia di conoscenza del mondo da parte di un giovane studente. La sua vicenda è un’educazione sentimentale che lo appassiona alla sua materia proprio per il piacere della conoscenza anche se, grazie a Dio, non si può conoscere tutto il creato ma solo continuare a viaggiare e scoprire accettando il rischio di perdersi. Al centro dei miei Racconti Teatrali c’è sempre un protagonista che testimonia l’incontro con qualcun’altro che gli ha cambiato la vita influenzandolo con la propria passione per un determinato mondo, sia esso il maresciallo che suona nella banda militare (La Banda con Flavio Insinna) o il giovane carbonaro (Il Pellegrino con Massimo Wertmuller), il blues o il cinema italo-americano (La signora in Blues e Al Pacino con Cristina Aubry), insomma personaggi che evocano mondi e miti da condividere con il pubblico, in chiave poetica».
-Un’ultima questione: quanto detenuti, prostitute e disabili (conosciamo i Suoi laboratori con portatori di handicap e “giovani-adulti” che vivono le realtà delle case-famiglia, dei servizi sociali negati e del carcere) L’aiutano nelle realizzazioni drammaturgiche, quanto prende a prestito dalle difficoltà degli altri perché sia più vera ogni trasposizione drammaturgica offerta al pubblico per riflettere?
«Tantissimo! Ogni incontro può essere per me una ricchezza, ossia una testimonianza da cui trarre spunto per una storia da raccontare. Ma non è un dogma attenersi solo al vero, perché è nella rielaborazione personale che nasce l’urgenza di scrivere. In conclusione direi che è più utile e stimolante sporcarsi le mani nel mondo reale, con tutte le sue contraddizioni, che scrivere ritirati in un bel posto con vista sul mare. Però vivere in un bel posto con vista sul mare non è affatto male: anche senza scrivere!»
Chiara Merlo