Associazione Culturale “Racconti Teatrali”
presenta
L’ ULTIMO ANGELO
di Pierpaolo Palladino
con Pierpaolo Palladino e Cristina Aubry
regia Manfredi Rutelli.
La spasmodica ricerca dell’avventura, il folle desiderio di una via di fuga dal proprio quotidiano, la corsa e l’inseguimento della passione irrazionale, la disperata voglia di “cambiare pelle”..
Tutto questo sta nell’Ultimo Angelo, secondo atto della “trilogia” che Pierpaolo Palladino e Manfredi Rutelli offrono alla stagione teatrale romana..Protagonisti sono marito e moglie. Lorenzo, alle prese con un amore per una prostituta incontrata una sola volta, monologa durante il suo viaggio notturno in una Roma piovosa e intasata dal traffico natalizio. Passa al setaccio la sua esistenza e inveisce contro il lavoro e la moglie riservando alla figlia piccola i suoi sensi di colpa.
Paola, sua moglie, si reca ad un appuntamento con l’amante, incontrato anch’egli una volta sola, ma di cui sembra aver perso la testa, divisa tra il senso di colpa per la figlia che la aspetta a casa e il desiderio di lui che si fa sempre più bruciante. Monologhi che si rincorrono, incontri solo evocati dagli attori in scena, come evocati sono gli ambienti narrati attraverso simboli, luci e musiche, mentre la radio annuncia l’ennesimo omicidio a luci rosse.
Note di regia
Il flusso di pensieri che con ritmi diversi avvolge le due solitudini di Lorenzo e Paola, è il punto chiave di un lavoro teatralmente basato sulla parola; parola che a sua volta evoca rumori, vitalità rumorosa dell’ambiente che circonda i due protagonisti e che ne sottolinea il senso di smarrimento e alienazione da entrambi vissuto. Il rumore di una solitudine, questo ho voluto sottolineare. I dettagli sonori che amplificano un silenzio interiore, un’incapacità al parlarsi che ha ormai svuotato di ogni contenuto il loro rapporto d’amore, ne ha fatto smarrire ogni fievole passione, ogni ardore; il senso. Salvo poi ritrovarlo e infiammarsi all’accendersi illusorio ed effimero di un fugace sogno impossibile. E proprio perché di pensieri, di nevrosi, di illusioni e di sogni si tratta, abbiamo cercato di rappresentarli, portarli in scena, sentendoli così come spesso li sentiamo guidando, camminando, aspettando. Un parlare da soli quasi inconsapevole, tradito anche da una fisicità attenta ad altro. Così che mentre lo sguardo cerca l’incontro sperato, il pensiero si sofferma su dialoghi immaginari, su conflitti coniugali, su rivalse professionali, su speranze fortemente volute. Con l’unico risultato di smarrirsi di nuovo, di perdersi, di annullare ogni percezione e non accorgersi, non volersi accorgere, dell’evidente: il fallimento.
Il flusso di pensieri che con ritmi diversi avvolge le due solitudini di Lorenzo e Paola, è il punto chiave di un lavoro teatralmente basato sulla parola; parola che a sua volta evoca rumori, vitalità rumorosa dell’ambiente che circonda i due protagonisti e che ne sottolinea il senso di smarrimento e alienazione da entrambi vissuto. Il rumore di una solitudine, questo ho voluto sottolineare. I dettagli sonori che amplificano un silenzio interiore, un’incapacità al parlarsi che ha ormai svuotato di ogni contenuto il loro rapporto d’amore, ne ha fatto smarrire ogni fievole passione, ogni ardore; il senso. Salvo poi ritrovarlo e infiammarsi all’accendersi illusorio ed effimero di un fugace sogno impossibile. E proprio perché di pensieri, di nevrosi, di illusioni e di sogni si tratta, abbiamo cercato di rappresentarli, portarli in scena, sentendoli così come spesso li sentiamo guidando, camminando, aspettando. Un parlare da soli quasi inconsapevole, tradito anche da una fisicità attenta ad altro. Così che mentre lo sguardo cerca l’incontro sperato, il pensiero si sofferma su dialoghi immaginari, su conflitti coniugali, su rivalse professionali, su speranze fortemente volute. Con l’unico risultato di smarrirsi di nuovo, di perdersi, di annullare ogni percezione e non accorgersi, non volersi accorgere, dell’evidente: il fallimento.
Manfredi Rutelli